Lab-on-a-Chip, i laboratori in miniatura

Le tecniche di lavorazione del silicio e di materiali simili sono utilizzate per realizzare strutture con migliaia di transistor ma anche strutture di micromeccanica. I dispositivi Lab-on-a-Chip appartengono proprio a quest’ultima categoria e fanno parte di quella famiglia di prodotti conosciuta come MEMS (Micro Electro Mechanical Systems); in particolare appartengono a quei sistemi di controllo della meccanica dei fluidi (microfluidica) con i quali si realizzano micro pompe, valvole e sensori.

I dispositivi di trattamento dei fluidi furono sviluppati dopo i sensori di pressione e altre strutture meccaniche mobili. Il primo sistema di analisi su tecnologia Lab-on-a-Chip fu un gascromatografo, sviluppato nel 1975 da S.C. Terry alla Stanford University.

Tuttavia, solo all’inizio degli anni novanta, la ricerca sui Lab-on-a-Chip iniziò a crescere rapidamente grazie a gruppi di ricercatori che svilupparono micropompe e sensori di flusso e introdussero il concetto del trattamento integrato dei fluidi per i sistemi di analisi.

Questo concetto dimostrò la possibilità di analisi complete di laboratorio, includendo passi addizionali di pulizia e separazione.

Un grande sviluppo si ebbe tra il 1990 e il 2000 con le applicazioni nel campo della genomica, con l’elettroforesi capillare e il DNA microarray; recentemente questa tecnologia si è spinta sino al livello delle nanotecnologie.

La base per la maggior parte dei processi di fabbricazione dei Lab-on-a-Chip è la litografia. Inizialmente la maggior parte dei processi utilizzava il silicio, dato che la tecnologia del silicio era ben nota per l’utilizzo nella fabbricazione dei semiconduttori; successivamente sono stati utilizzati anche altri materiali e processi alternativi come l’incisione del vetro, ceramica e metallo, deposition e bonding, processi PDMS (polidimetilsilossano), thick-film e stereolitografia, allo stesso modo di metodi di replicazione veloce via electroplating e stampaggio.

Un dispositivo Lab-on-a-Chip consente di effettuare analisi con bassi volumi di fluido, rapidamente e con dispositivi che sono sempre più economici. La ricerca in questo campo coinvolge tanto le multinazionali dei semiconduttori (IBM, STMicroelectronics, ecc.) quanto una miriade di piccole società specializzate in settori di nicchia. Recentemente, i ricercatori di IBM hanno sviluppato una nuova tecnologia Lab-on-a-Chip che è in grado, per la prima volta, di separare le particelle biologiche su scala nanometrica ed è quindi potenzialmente in grado di consentire ai medici di rilevare patologie quali le neoplasie prima della comparsa dei sintomi.

Una volta isolate, queste particelle possono essere analizzate dai medici per rivelare eventuali segni di patologie, anche prima che i pazienti mostrino qualsiasi sintomo, quindi in una fase in cui i risultati delle eventuali cure sono molto più efficaci. Fino ad oggi, la bioparticella più piccola in grado di essere isolata in base alle dimensioni, utilizzando tecnologie on-chip, era circa 50 volte più grande (ad esempio, nella separazione di cellule tumorali in circolo da altre componenti biologiche).

In ambito medico le tecnologie Lab-on-a-Chip sono diventate uno strumento diagnostico estremamente utile per i medici, in quanto possono essere significativamente più veloci, portabili e facili da utilizzare dei sistemi attuali, nonché richiedere volumi inferiori di campionamento per contribuire a rilevare eventuali patologie. L’obiettivo è quello di ridurre a un singolo chip di silicio tutti i processi necessari per l’analisi di una malattia che normalmente dovrebbe essere effettuata in un laboratorio di biochimica su vasta scala.

Utilizzando una tecnologia chiamata spostamento laterale deterministico su scala nanometrica, o nano-DLD, i ricercatori di IBM sono riusciti a sviluppare una tecnologia Lab-on-a-Chip che permette a un campione liquido di passare, a flusso continuo, attraverso un chip di silicio contenente una matrice di pilastri asimmetrica, la quale permette al sistema di separare una cascata microscopica di nanoparticelle, suddividendole in base alle dimensioni fino a una risoluzione dell’ordine delle decine di nanometri.

Proprio come una strada che passa attraverso una piccola galleria consente il passaggio soltanto alle automobili di ridotte dimensioni, costringendo i veicoli più grandi a una deviazione, la tecnologia nano-DLD utilizza una serie di pilastri per deviare le particelle più grandi, consentendo invece alle particelle più piccole di fluire in modo continuo attraverso gli spazi tra i pilastri della matrice, separando in modo efficace questo “traffico” di particelle in base alle dimensioni e senza perturbare il flusso. In conclusione, è proprio questa capacità di natura microfluidica (o nanofluidica) a caratterizzare i dispositivi Lab-on-a-Chip: i transistor non c’entrano nulla, salvo che entrambe le tecnologie utilizzano il silicio e le tecniche di incisione relative.

 

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