Un componente elettronico che ha conosciuto notevole diffusione ed evoluzione negli ultimi anni è il diodo luminoso, che, nato come lampadina spia ed elemento base dei display, oggi è diventato la principale fonte di illuminazione artificiale. Questo trae origine da quando è stato possibile realizzare i LED a luce bianca, allorché il mondo dell’elettronica ha focalizzato i propri sforzi con l’intento di elevare l’efficienza luminosa e creare componenti di potenza idonea a sostituire i corpi illuminanti tradizionali. Oggi i LED hanno un’efficienza energetica (ossia luce emessa a parità di consumo) 10 volte superiore rispetto alle lampadine a filamento. La riduzione dei costi, l’aumento dell’affidabilità, la versatilità d’uso e la facilità di installazione, hanno quindi decretato il successo dei LED nell’illuminazione, cui vogliamo dedicare questo articolo, partendo da qualche accenno alla fisica del componente e dalle origini della tecnologia dei diodi luminosi.

Come funziona

LED significa Light Emitting Diode, ossia diodo emettitore di luce; un diodo a giunzione di semiconduttore che in polarizzazione diretta, alimentato con una tensione che superi quella di soglia, produce ed emette luce. La giunzione PN è fatta con un semiconduttore non naturale, come silicio e germanio, ma di sintesi, perché altrimenti la radiazione luminosa emessa non è visibile ad occhio. Il tipo e il drogaggio del semiconduttore determinano la lunghezza d’onda e quindi il colore della luce emessa; non solo, ma influenza anche la tensione diretta richiesta per ottenere la luce.

La tensione di funzionamento di un LED può variare dagli 1,8 ai 3,6 V circa in base al colore della luce emessa: è più bassa in quelli rossi e arancioni, un po’ più alta in quelli gialli e verdi e supera i 3 volt nei LED blu e bianchi (che di norma sono LED blu o ultravioletti internamente rivestiti di fosfori che convertono tale luce in bianca). Di media i LED comuni vanno alimentati a tensione continua, con una corrente compresa tra i 5 e i 20 mA; la corrente non si limita da sè ma occorre limitarla o (meglio) stabilizzarla. Nella situazione più semplice, per far accendere un LED rosso con i 5V di un microcontrollore o altro dispositivo che fornisce livelli TTL, abbiamo bisogno di porre in serie all’anodo un resistore di circa (5-3)/0,02=100 ohm.

Sebbene nasca per funzionare in continua, il LED può lavorare in alternata, fermo restando che si illumina solo quando la tensione è positiva sull’anodo e negativa sul catodo; tuttavia se l’ampiezza tensione supera il valore della tensione inversa in interdizione, è necessario tagliare la semionda negativa mediante un diodo collegato in antiparallelo (ossia con il catodo sull’anodo del LED e il catodo di quest’ultimo sull’anodo del diodo).

I led da illuminazione

Quando la tecnologia ha consentito di realizzare LED a luce bianca, l’industria ha iniziato a creare diodi specifici per illuminotecnica, basati su giunzioni emittenti luce blu o ultravioletta (i primi risalgono alle ricerche fatte nei laboratori della giapponese Nichia tra il 1991 e il 1995) convertita, come avviene nei tubi fluorescenti, da fosfori di cui è rivestito l’interno dell’involucro. Così da una luce ultravioletta se ne ricava una bianca a diverse gradazioni (quelle comuni sono calda, naturale e fredda) o usando una luce blu ed un fosforo che emette luce gialla se ne ottiene una che dà la sensazione di una luce bianca. Come semiconduttore viene usato il nitruro di Gallio (GaN).

Normalmente la giunzione ha una potenza simile a quella dei LED ad alta efficienza utilizzati come spie, ma per l’illuminazione, a meno di non voler combinare più LED tradizionali, si impiegano giunzioni più potenti, che arrivano anche a superare il watt.

Led monolitico e COB

Tipicamente i LED sono composti da una singola giunzione (monolitici) ma quando si debbono realizzare corpi illuminanti ad elevata potenza e grande flusso luminoso, si ricorre a una tecnica che permette di unire più LED elementari: una tecnica che permette di porre in serie sulla stessa barretta più diodi luminosi è la COB (chip on board), che si presentano generalmente sotto forma di barre o comunque di corpi uniti ma segmentati. Ognuno di quei segmenti è un LED e tutti sono interconnessi per formare un’unica sorgente di luce più potente e a tensione di lavoro maggiore.

La temperatura di colore

Tutte le sorgenti illuminanti hanno una cosiddetta “Temperatura di colore” misurata in K.

Ma cosa sono questi valori e che cosa è K? Ebbene sono temperature misurate nella scala assoluta che viene espressa in Kelvin. Di fatto la scala Kelvin trasla di 273,16 gradi la scala Celsius.

Per capire cos’è la temperatura di colore, prendiamo ad esempio quello che vediamo quando scaldiamo un pezzo di acciaio: ad un certo punto diventa molle ed emana una luce gialla la cui intensità aumenta all’aumentare della temperatura. Lo studio fisico di tale proprietà di luminescenza, che ha condotto ad esempio a costruire il filamento delle lampadine ad incandescenza, si chiama studio della “radiazione del corpo nero”. Questo è, in Fisica, un corpo che a temperatura di 0 Kelvin non emette alcuna radiazione elettromagnetica (la luce è una radiazione elettromagnetica) ma assorbe tutte le radiazioni. Riscaldandolo, man-mano che la sua temperatura aumenta, il corpo nero emette una radiazione luminosa che dal rossiccio va verso il giallo, poi al bianco, fino all’azzurro-violetto. Correlando il colore alla temperatura si ha la temperatura di colore. L’importante da sapere è che la tonalità più calda è quella da 2.700K con molte componenti sul rosso, fino ai 6.500K che è quella più fredda con molte componenti sul blu. La luce cosiddetta “solare” viene tarata ai 4.000K. Di solito le lampade a LED si trovano a luce calda (warm), solare (solar o bright) e fredda (cool). La temperatura di colore si sceglie in base all’umore degli occupanti l’ambiente da illuminare, ma anche per la destinazione; ad esempio se si vuole molto contrasto e grande resa luminosa, si deve scegliere una luce bianca fredda. Di solito il migliore compromesso è quella solare.

I lumen

Con i lumen (lm) si misura il flusso luminoso, nel visibile, prodotto da una sorgente luminosa e corrisponde all’intensità luminosa (espressa in candele) rapportata all’angolo solido di emissione. A noi serve come termine di paragone con la cara, vecchia lampadina a incandescenza, che all’incirca emette 10 lumen per ogni watt di potenza assorbita. Dei buoni LED emettono 100 lumen/watt, quindi a parità di potenza una sorgente a LED moderna emette una luce 10 volte superiore a quella della lampada ad incandescenza e quindi ne decuplica la resa. In realtà il rapporto differisce, perché mentre la lampadina si collega direttamente alla rete elettrica e limita da sè la potenza assorbita, il LED richiede un sistema di controllo della corrente che dissipa una parte della potenza assorbita, riducendo l’effettiva efficienza. Inoltre tale sistema è più soggetto a guasti del singolo LED, il che riduce la durata reale. Considerato tutto, per ottenere da una lampada a LED i canonici 750 lm prodotti da una lampadina a incandescenza da 60W bastano 9W a LED.

Oggi esistono lampade da 14W che fanno circa 1.500 lm ben di più di una vecchia ad incandescenza che con 100W faceva circa 1.100 lm.

Flusso e durata dipendono anche da quanto si sfrutta il LED: se voglio aumentare la durata ed andare ad oltre 25.000 ore devo limitare il flusso luminoso ad efficienze minori ma se mi “accontento” di 15.000 ore il valore del flusso è quello detto precedentemente. Più si aumenta il flusso più il LED scalda e quindi più si riduce la sua vita.

Calore e costruzione

Siccome l’intensità e il flusso luminoso del LED sono funzione della corrente diretta, nell’utilizzo dei LED come fonte d’illuminazione le correnti in gioco sono consistenti e determinano dissipazioni di potenza tali da richiedere l’adeguato raffreddamento della giunzione (o delle giunzioni) che altrimenti si guasterebbe.

Come tutte le giunzioni a semiconduttore, anche quella del LED è sensibile alla temperatura, tanto che maggiore diventa, meno dura il semiconduttore; inoltre va considerato che la tensione di soglia diminuisce man mano che la giunzione si riscalda, portando anche a fenomeni di deriva termica che non sono salutari perché la curva che descrive la relazione tensione/corrente del diodo è esponenziale, il che, tradotto in parole povere, significa che per piccole variazioni di tensione si arrivano a registrare forti escursioni della corrente. Ciò comporta ulteriori rischi per l’integrità della giunzione, anche e soprattutto perché per ottenere la massima luminosità (e conseguente flusso luminoso) dai diodi, soprattutto da quelli che hanno minore efficienza (tipicamente i più economici) occorre lavorare nella zona della caratteristica in prossimità della corrente limite.

Per consentire lo smaltimento del calore, i costruttori hanno adottato tecniche simili a quelle che si usano per la produzione dei semiconduttori di potenza, usando sistemi passivati e collegati ad una base metallica, di solito alluminio, che permetta di veicolare verso l’esterno il calore.

Quando il solo contenitore non consente un adeguato raffreddamento si aggiunge un dissipatore (Fig. 2).

Allo scopo si è evoluta la tecnica dei PCB, che vengono costruiti direttamente su lamina di alluminio in modo da raffreddare “on-board” il componente.

Alimentazione dei LED

Passiamo all’alimentazione dei LED, che quando sono più d’uno possono essere collegati in serie: in questo caso vanno in fila nello stesso verso cioè il catodo del primo LED deve essere collegato con l’anodo del secondo e così via (Fig. 3).

Per i LED alimentati a una corrente continua costante intorno ai 20mA, il circuito di alimentazione si basa su una resistenza in serie alla tensione di alimentazione in corrente continua calcolata in questo modo:

RL = 50·(Vcc –VD )

dove Vcc è la tensione di alimentazione e VD è la tensione media del LED che si presume intorno ai 3V, tenuto conto poi che i resistori sono di serie unificata E12 eventuali inesattezze non sono critiche, vediamo ora invece i LED per illuminazione che invece la cui alimentazione deve essere molto più curata.

Una cosa importante da sapere è che per accendere i LED per illuminazione si devono usare alimentatori appositamente costruiti per questo tipo d’uso. Tante volte infatti si usano degli alimentatori di tipo industriale con cassa aperta o ricoperti con lamina forata, normalmente con le connessioni a vite o morsetto. Questi alimentatori vanno bene per sistemi di controllo di tipo industriale dove le accensioni non sono frequenti e dove non prendono immediatamente tutto il carico.

Gli alimentatori per LED invece sono studiati innanzitutto per accensioni frequenti e hanno sempre un tempo di alcuni decimi di secondo, fino ad 1s, di presa del carico. Infatti quest’ultima caratteristica permette di evitare che lato rete si abbia un brusco picco di corrente che potrebbe far intervenire le protezioni magnetotermiche e differenziali presenti sulle linee di illuminazione specie in quelle delle abitazioni dove sono più sensibili.

Alimentazione in serie a corrente costante

I LED da illuminazione di solito vengono forniti anche singoli e ne viene specificata la loro corrente di lavoro nominale. Di solito i costruttori forniscono anche la caratteristica voltamperometrica del componente, è comunque importante consultare sempre il datasheet (un esempio in Fig. 4).

Normalmente i LED da illuminazione si trovano con correnti nominali di 350, 700 e 1.050 mA; la loro tensione è all’incirca intorno ai 3V se guardiamo un datasheet di un diodo da 700mA vediamo che va dai 3 ai 4,5V e dipende dalla corrente. Questo vuol dire che il costruttore indica una tolleranza abbastanza ampia della tensione di funzionamento. Notate che un diodo da 700mA produce quasi 200lm di flusso, pari ad una vecchia lampadina da 25W, quindi ne bastano 2 in serie per fare una lampada da 40W. Quindi se vogliamo ottenere l’illuminazione richiesta, dobbiamo fornire la corrente necessaria ma non sappiamo esattamente qual è la tensione corretta, ecco quindi che un’alimentazione a corrente costante può agevolmente risolvere il problema. Infatti il costruttore del LED si raccomanda di non superare una certa corrente più che una certa tensione. L’alimentatore a corrente costante, infatti, regola la tensione ai capi del carico affinché sia costante la corrente che vi scorre ai suoi capi. Ecco però un problema l’alimentatore è un circuito reale che ha dei limiti di potenza e quindi di tensione non solo massima, ma anche minima. In commercio infatti si trovano degli alimentatori che indicano la corrente nominale che fanno circolare nel circuito, tuttavia è importante tra le caratteristiche trovare la tensione massima alla quale possono funzionare garantendo la corrente nominale.

Se non viene specificata la tensione minima vuol dire che l’alimentatore può alimentare anche un singolo LED e quindi la sua tensione minima sarà di circa 2,5V. La tensione massima invece è un parametro fondamentale perché dice quanti LED possiamo mettere in serie; infatti nel collegamento serie le cadute di tensione si sommano e se la tensione di ogni elemento è almeno 3V significa che per accendere una serie di 10 LED dobbiamo usare un alimentatore che possa arrivare oltre i 30V (3×10); ma tenendo conto che il costruttore indica che possono arrivare anche a 4,5V, occorre considerare che l’alimentatore deve avere una tensione massima di almeno 50V.

Alimentazione in parallelo a tensione costante

Per ovviare al problema di avere un alimentatore per corrente costante (più costoso), fare il conto di LED, della tensione necessaria e non avere problemi di tensione eccessiva per evitare folgorazioni sono disponibili sul mercato molte soluzioni già composte con LED e resistore, ad esempio le strisce che si tagliano a metratura, che vanno normalmente a due tensioni molto ben standardizzate nel mondo dell’installazione civile, industriale ed automobilistico cioè i 12 ed i 24 V corrente continua. Qui la facilità di installazione si contrappone al rendimento; il fatto di avere una resistenza per limitare la corrente per ogni gruppo di LED in base alla tensione di alimentazione fa dissipare dell’energia sulla resistenza che un’alimentazione in corrente costante non sprecherebbe. Tuttavia qui basta collegare tutti i corpi alla stessa sorgente di tensione rispettando le dovute polarità. Questo significa che se abbiamo una sorgente di alimentazione a 12 o 24 Vcc dobbiamo prestare attenzione a segnare e collegare tutti i positivi tra di loro compresa la sorgente di alimentazione e lo stesso con tutti i negativi come si vede in Fig. 3.

Per l’alimentazione dobbiamo solo prestare attenzione a non superare la potenza massima erogata dall’alimentatore, perché potremmo mandarlo in protezione o avere un’illuminazione minore perché l’alimentatore “si siede”.

Il led in corrente alternata

Se si utilizza il LED in corrente alternata, laddove la tensione superi quella massima inversa che il componente tollera occorre una protezione, realizzata con un diodo in antiparallelo (si parla di diodo di circolazione) avente corrente di lavoro superiore a quella del LED, come mostrato nella Fig. 4.

Si può anche collegare un diodo in serie al LED, purché abbia tensione inversa superiore a quella di lavoro del LED e con tensione inversa maggiore di quella di picco dell’alimentazione. Non solo: se si usa un circuito in antiparallelo con alimentazione capacitiva è bene aggiungere un resistore ed un diodo TVS (soppressore di transitori) come indicato in Fig. 5.

Questo vale soprattutto se si vuole anche fare un detector di rete con un optoaccoppiatore. Soluzioni a tensione di rete 230Vac

Vi sono per ultimo delle soluzioni con dei veri e propri corpi illuminanti che funzionano direttamente a tensione di rete 230 Vca e che vanno installati come tutti i corpi illuminanti tradizionali; alcuni permettono di fare il cosiddetto “Retrofit” cioè la sostituzione uno a uno delle vecchie lampade a incandescenza. È il caso delle lampadine che oggi vengono vendute con gli stessi formati di quelle ad incandescenza di un tempo ma hanno già integrato al loro interno LED ed alimentatore dedicato. Non solo ma vi sono anche formati compatibili con i tubi fluorescenti o le lampade alogene che non abbisognano di componentistica aggiuntiva e si sostituiscono direttamente alle vecchie lampade.

Regolazione della luminosità

Spendiamo una parola su un tema che a molti utenti dell’illuminazione a LED sta a cuore, ossia poter regolare con una manopola (o telecomando) la luminosità dei LED.

Nel caso dei LED alimentati in corrente continua vanno acquistati appositi alimentatori che hanno questa funzione. La tecnica è quella nota del PWM con cui viene regolata la luminosità. Altra cosa, invece, è per le lampade da retrofit, che sostituiscono quelle in alternata. Qui dovete controllare se riportano (per esempio sulla confezione) il simbolo in Fig. 6 che vi dice se la lampada è dimmerabile o no (croce sulla figura della regolazione).

Normalmente le lampade prodotte per la tensione di rete, per ragioni di costo, non sono dimmerabili, vi sono però alcune versioni che invece sono proposte per tale uso. Le lampade regolabili a 230Vac con un apparecchio detto appunto DIMMER, hanno bisogno di un circuito di alimentazione più complesso che rende la lampadina più costosa. Di solito costa 2 o 3 volte una non regolabile.

Queste lampade però possono essere usate come le vecchie lampadine ad incandescenza e funzionano anche con i regolatori dimmer di vecchio tipo già presenti nell’impianto elettrico o nel corpo illuminante. Di solito però essendo degli adattamenti per mantenere i vecchi dispositivi di regolazione, hanno il problema che non hanno una regolazione molto fine come avevano quelle ad incandescenza di una volta, di solito si vede che “non tengono” il minimo e arrivate verso la fine o tremano (effetto flicker) o si spengono definitivamente, riducendo il campo di regolazione rispetto a quelle a filamento. Se possiamo consigliare un tipo presente in Italia buoni risultati si sono ottenuti con la serie “Parathom” della Osram che è una serie professionale pensata per questo tipo d’uso.

Serie, parallelo, combo come collegare i LED tra loro

Una delle domande più frequenti sull’illuminazione a LED è se i diodi si possono mettere in serie o in parallelo. Il sistema più semplice è quello, come spiegato prima, di mettere i diodi in serie, così da mettersi al riparo dalle differenze nella tensione diretta (due diodi in parallelo avranno correnti diverse, pur sottoposti alla stessa tensione anodo-catodo); in questa maniera, imponendo una tensione superiore a quella della somma delle tensioni di conduzione minima (detta tensione di gap) si riesce ad accendere tutti i LED in un colpo solo. Questo naturalmente funziona se si usa un alimentatore a corrente costante, se si usa invece una tensione costante il sistema è quello che in teoria si dice polarizzazione cioè usare un generatore di tensione costante con una resistenza in serie tra diodo e alimentazione. Per conoscere il loro punto di lavoro di solito si usa una tecnica definita “retta di carico” che qui non approfondiremo.

Vediamo i due casi principali:

• Serie; collegando tra di loro catodo e anodo (catodo del primo con l’anodo del secondo e così via) ed usando o un alimentatore a corrente costante o uno a tensione costante con in serie una resistenza per compensare le differenze di tensione tra alimentazione e serie dei diodi;

• Parallelo; è sconsigliato, a meno che non si usi un alimentatore a tensione costante e si metta in serie ad ogni LED una resistenza di polarizzazione opportunamente calcolata.

Esempio pratico

Dobbiamo collegare 3 diodi LED da 700mA in serie, sappiamo dalle caratteristiche che con quella corrente i diodi hanno una caduta diretta di 4,5V quindi 4,5 x 3 = 13,5V le scelte sono due: un alimentatore in corrente continua costante da 700 mA che eroghi una tensione massima di almeno 15V, oppure un alimentatore a tensione fissa continua da 15V con una resistenza in serie così calcolata:

R = (VA-VS)/IL quindi R = (15-13,5) : 0,7 = 2,2 Ω

La potenza della si calcola come Pr = (VA-VS)2/R facendo i conti è di 1W.

Prendiamo ora gli stessi LED e mettiamoli in parallelo, sempre con una corrente di 700mA.

Se usiamo un’alimentazione da 5Vcc la resistenza R da collegare in serie a ogni LED sarà:

R=(5-4,5) : 0,7 = 0,7 ohm

Siccome possiamo arrivare anche 800mA possiamo scegliere un resistore da 0,68 Ω; la sua potenza sarà di 0,37W e quindi possiamo usare 3 resistori da 0,68 Ω 1/2W collegati in serie ai LED e ogni gruppo LED/resistore collegato in parallelo ai 5V, l’importante è che l’alimentatore eroghi una corrente di almeno 2,2A.

2 Commenti

  1. Complimenti per la chiarezza. Mi rendo conto che la differenza è irrilevante per la quasi totalità dei lettori, ma Wikipedia fissa la conversione da Celsius a Kelvin in 273,15 non 273,16. Mi pare doveroso notare che anche la lampade a filamento generano picchi di corrente alla inserzione dovuti alla variazione di resistenza fra temperatura ambiente e quella di esercizio. Nella mia personale esperienza avevo misurato una variazione di dieci volte fra valore di picco e valore di esercizio, che ci aveva costretti ad inserire una rampa nel sistema di alimentazione. Il sistema di diodo antiparallelo, per l'applicazione in corrente alternata, è troppo costoso, sia nel caso del LED singolo, perché ne raddoppierebbe il costo, che nel caso in cui sia applicato alla serie di LED perché obbligherebbe ad una resistenza di valore diverso e comunque ci sarebbe una perdita di efficienza del 50 %. Meglio due serie di LED in antiparallelo integrate con resistenze e condensatori di protezione dai picchi di tensione. Grazie per l'attenzione, cordiali saluti. Lorenzo Manassero
  2. Articolo estremamente interessante, anche se per me un po' ostico ... sono un perito in telecomunicazioni, ora in pensione, e che dalla fine degli studi ad oggi ha completamente dimenticato il mondo dell'elettronica... sto cercando di porre rimedio ad alcune delle mie mille e mille lacune!!! Fulvio Porro

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Menu