I sistemi di Energy Storage potenziano l’infrastruttura di carica rapida per i veicoli elettrici

 

I veicoli elettrici (EV) sono destinati a guadagnare quote di mercato sempre più consistenti soppiantando, prima o poi, gli automezzi dotati di motore a combustione interna. Le stazioni di ricarica rapida in corrente continua (DC) sostituiranno, o integreranno, quelle che distribuiscono carburanti. Per alimentarle verranno usate fonti da energie rinnovabili, come il solare e l’eolico.

Gli utenti vorranno caricare i propri EV in meno di 15 minuti e non saranno disposti ad attendere in coda davanti ad un’unica colonna di carica.

Considerando strutture a colonne multiple, la potenza di carica di picco che la rete elettrica dovrà fornire localmente sarà superiore a 1 MW; un valore che può mandarla al collasso in molti punti, a meno di effettuare enormi investimenti per rafforzare le linee di trasmissione e le centrali elettriche necessarie a soddisfare il carico di base. Quest’ultimo, tuttavia, è di tipo impulsivo e deve essere integrato con l’energia intermittente generata dalle fonti rinnovabili, solari ed eoliche.

I sistemi di energy storage sono in grado di risolvere questo problema in modo semplice ed elegante. Si utilizzano combustibili fluidi, come la benzina, o gassosi, per poter disporre di una riserva di energia riutilizzabile all’occorrenza (ad esempio, quando si rifornisce una vettura). Secondo lo stesso principio è possibile immagazzinare energia elettrica nelle batterie. Quest’energia può essere impiegata successivamente, per dare supporto alla carica di EV, mantenendo stabile la rete elettrica, eliminando i picchi di potenza o fornendo alimentazione in caso di blackout.

Il mercato della mobilità è in evoluzione. Nel 2020 saranno venduti circa 3 milioni di EV, su un totale di più di 80 milioni di veicoli. Possiamo considerarlo un mercato di nicchia, ma le previsioni indicano una crescita esplosiva che prevede vendite fino a 10 milioni di EV nel 2025 e oltre 50 milioni nel 2040, su un totale di 100 milioni. Ciò significa che entro l’anno 2040 il 50% dei veicoli venduti sarà a trazione interamente elettrica. Questi automezzi devono essere caricati lentamente, durante la notte, presso il luogo di residenza, con una semplice presa a muro o con un caricatore DC per uso domestico da pochi kilowatt, con un sistema fotovoltaico associato a una batteria di accumulo oppure, velocemente, alle colonne di carica presso i punti di rifornimento, o in modo ultraveloce nelle stazioni di rifornimento future.

Oltre alla crescita del mercato EV, notiamo che il mercato delle energie rinnovabili, che recentemente ha vissuto l’esplosione dei sistemi solari fotovoltaici (PV), è tuttora in crescita a ritmo sostenuto, grazie alla diminuzione dei costi di circa l’80% negli ultimi 10 anni e alla spinta verso la decarbonizzazione. Con una quota inferiore al 5% dell’odierna produzione globale di elettricità, si prevede che, nel 2050, l’energia solare possa arrivare a rappresentare più di un terzo (33%) della produzione globale.

Con un futuro fatto di carichi intermittenti e fonti di energia saltuarie, ricavate tanto da PV quanto da generazione eolica, la necessità di carica degli EV presenta delle sfide, come combinare questi nuovi protagonisti nell’ecosistema energetico incentrato sulla rete. I carichi intermittenti, come quelli rappresentati dagli EV, richiederanno un sovradimensionamento delle linee elettriche per coprire una domanda caratterizzata da picchi di potenza più elevati.

La produzione di energia solare cambierà le modalità operative delle centrali elettriche principali, per garantire che la rete non subisca dei sovraccarichi e gli utenti possano accedere all’energia in modo più semplice; una percentuale sempre più elevata di autoconsumo dell’elettricità, prodotta a livello domestico, riguarderà i sistemi fotovoltaici residenziali.

Per far sì che tutte queste entità lavorino al meglio e trarre vantaggio dalle fonti rinnovabili e dagli EV a zero-emissioni, devono entrare in gioco i sistemi di energy storage, affinché sia possibile immagazzinare e riutilizzare l’energia elettrica che viene generata quando la domanda è scarsa (ad esempio, conservare l’energia solare generata al pomeriggio per utilizzarla alla sera) e utilizzare quella in eccesso per stabilizzare la rete.

Gli Energy Storage Systems (ESS) sono l’equivalente elettrico dei serbatoi di carburante o dei magazzini di stoccaggio del carbone; possono essere utilizzati in molteplici applicazioni, tanto su scala residenziale quanto industriale. Nell’uso residenziale, è semplice collegare l’inverter PV alla batteria di accumulo, per conservare e utilizzare l’energia o per caricare la vettura durante la notte, mediante l’energia ricavata dal sole durante il giorno. In un’implementazione industriale o per utilità di scala, come i servizi connessi alla rete, le installazioni ESS possono essere utilizzate per scopi differenti: dalla regolazione del PV e delle fonti eoliche all’arbitraggio energetico, dal supporto di backup al “black start” (eliminando i generatori diesel) e, cosa più importante dal punto di vista del costo complessivo, consentire il rinvio degli investimenti. In quest’ultimo caso, i sistemi di energy storage verranno utilizzati per coprire i picchi di potenza sui nodi della rete, rendendo superflui gli aggiornamenti onerosi sulle linee di trasmissione esistenti. Un altro caso rilevante d’impiego è l’installazione fuori-rete, dove l’ESS consente a un’isola, o una micro-rete, di essere autosufficiente.

Considerando tutte le possibili applicazioni, entro l’anno 2045 il mercato degli ESS supererà la soglia di capacità di 2000GWh (1000GW di potenza), crescendo rapidamente dagli attuali 20GWh (10GW potenza).

In questo articolo ci concentreremo sulle installazioni ESS destinate all’infrastruttura di carica degli EV.

Figura 1. Integrazione di fonti rinnovabili, energy storage e infrastruttura di carica degli EV.

L’infrastruttura di carica AC, sia per le installazioni private sia per quelle pubbliche, è piuttosto semplice ma dispone di una potenza limitata. I caricatori AC di livello 1 lavorano a 120Vac, fornendo al massimo 2kW; quelli di livello 2 sono in grado di operare a 240Vac con 20kW e la conversione di potenza da AC a DC è, in entrambi i casi, delegata al sistema di carica a bordo del veicolo. La presa a muro AC rappresenta un dispositivo di misura e protezione, piuttosto che un sistema di carica. Il caricatore a bordo-vettura possiede specifiche sempre inferiori a 20kW per limiti di costo, dimensioni e peso.

D’altro canto, l’uso della DC consente la possibilità di caricare l’EV a un livello di potenza molto più elevato: i caricatori di livello 3 possono arrivare fino a 450Vdc e 150kW, i nuovi super charger (equivalenti al livello 4) possono andare oltre i 350kW e 800Vdc. Per motivi di sicurezza, quando il connettore in uscita è collegato al veicolo, il limite di tensione superiore è fissato a 1000Vdc. Utilizzando un caricatore DC, la conversione di potenza avviene all’interno della colonna di carica e l’uscita di potenza in DC collega direttamente la colonna stessa alla batteria della vettura. Questa soluzione elimina la necessità di un sistema di carica a bordo, con i vantaggi che ne conseguono in termini di risparmio di spazio e peso. Tuttavia, in questa fase di transizione in cui l’infrastruttura di carica EV è ancora frammentata, e differisce da Paese a Paese, da regione a regione, nei veicoli elettrici è in genere presente un  piccolo sistema di carica da 11kW per dare all’utente, se necessario, la possibilità di effettuare comunque la carica attraverso una presa AC.

L’aumento della potenza di carica rende necessario l’incremento della tensione operativa, per far sì che l’intensità di corrente venga mantenuta entro limiti ragionevoli per contenere la sezione e il costo dei cavi, e implica la necessità di progettare e dimensionare nel modo più opportuno la micro rete o la sottorete, dove sono installate le stazioni di carica.

Immaginiamo una stazione di carica del futuro (nel 2030), dove il “carburante” consiste di elettroni ed è reso disponibile da un “oleodotto” chiamato linea di trasmissione, connessa alla rete a media tensione (MV) mediante un trasformatore. Oggi il carburante viene immagazzinato in grandi serbatoi sotterranei e, di solito, trasportato alle stazioni di rifornimento mediante autocisterne. Avere sempre a disposizione dalla rete questo nuovo carburante, fatto di elettroni, sembra una soluzione facile e priva di problemi; ma constatiamo che questo approccio “facile” non sembra più sostenibile se si vuole dare agli automobilisti la possibilità di caricare i propri EV in meno di 15 minuti.

La nostra stazione di carica ha cinque colonne in DC, con una potenza di picco d’uscita di 500kW ciascuna. Il caso peggiore, per il quale la stazione deve essere dimensionata, è rappresentato da cinque EV che carichino simultaneamente batterie completamente scariche. Per semplificare i calcoli, consideriamo pari a zero le perdite negli stadi di conversione di potenza e sulla linea di carica della batteria. Più avanti, in questo articolo, vedremo come un progetto accurato venga influenzato anche dalla più piccola perdita di potenza lungo la catena di alimentazione.

Consideriamo cinque EV, ciascuno con una batteria da 75kWh (le vetture attualmente disponibili sul mercato, con un powertrain interamente elettrico, sono dotate di batterie con capacità da 30kWh a 120kWh), che devono essere portate da uno stato di carica (SOC, “State Of Charge”) del 10% all’80%.

Ciò significa che una quantità di energia pari a 262,5kWh deve essere trasferita dalla rete agli EV in 15 minuti:

Per 15 minuti, la rete deve fornire agli EV una potenza leggermente superiore a 1 MW. Il processo di carica delle batterie al litio richiederà un profilo a corrente costante e uno a tensione costante, dove la potenza richiesta per caricare la batteria fino all’80% è maggiore di quella richiesta dall’ultimo 20%. Nel nostro esempio, interrompiamo il processo di carica all’80% considerando il valore di potenza massima.

La rete o, meglio, la sottorete dove è collocata la stazione di carica, deve sostenere a intermittenza picchi di potenza superiori a 1 MW. Perché resti funzionale, senza alterare la frequenza e creare instabilità, è necessario implementare stadi molto efficienti e complessi per la correzione attiva del fattore di potenza (PFC, “Power Factor Correction”). Ciò implica anche l’installazione di trasformatori molto costosi, per collegare la stazione di carica a bassa tensione alla rete a media tensione, così come verificare che le linee di trasmissione che trasferiscono la potenza dalla centrale elettrica alla stazione di carica siano dimensionate in modo appropriato per gestire il picco di potenza richiesto. Nel caso in cui la stazione stia caricando un insieme di vetture e autocarri o bus, la potenza necessaria è più elevata.

Invece di installare nuove linee di trasmissione e grossi trasformatori, la soluzione più semplice ed economica è usare l’energia generata localmente da fonti rinnovabili, quali solare ed eolica. Ciò consente agli utenti di avere una fonte di energia supplementare, collegata direttamente alla stazione di carica, e non fare affidamento soltanto sulla rete. Realisticamente, nei pressi della stazione di carica o in prossimità della sottorete alla quale la medesima è collegata, è possibile costruire installazioni fotovoltaiche (PV) con potenze nell’intervallo tra 100kW e 500kW.

Anche se la sorgente fotovoltaica (PV) può fornire 500kW, mantenendo la potenza richiesta dalla rete al di sotto di questo valore, costituisce comunque una fonte intermittente e non sempre presente. Questo porta instabilità alla rete stessa, permettendo agli utenti di EV di caricare le proprie vetture il più velocemente possibile soltanto in condizioni di massima luminosità solare. Ciò non è esattamente quello che gli utenti desiderano e non è sostenibile.

Il tassello mancante di questo “puzzle” di elettronica di potenza è l’ESS. Avendo la stessa funzione del serbatoio sotterraneo delle stazioni di rifornimento odierne, l’ESS può essere rappresentato come un’enorme batteria in grado di immagazzinare e fornire energia dalle fonti rinnovabili alla rete, alle colonne di carica o viceversa. La prima caratteristica fondamentale di un’unità di energy storage è essere bidirezionale e lavorare sul lato a bassa tensione della rete. Le nuove installazioni raggiungeranno una tensione di bus di 1500Vdc che collegherà le fonti rinnovabili, le colonne di carica per gli EV e la batteria dell’ESS. Un dimensionamento opportuno dell’ESS deve essere realizzato anche per garantire che il rapporto tra la potenza di picco e la capacità energetica sia quella ottimale per l’installazione specifica. Questo rapporto dipende strettamente dalle dimensioni del sistema di generazione locale, sia questo solare, eolico o da fonti diverse, dal numero di colonne di carica, dagli altri tipi di carico connessi alla sottorete e dall’efficienza dei sistemi di conversione di potenza.

Figura 2. Conversione di potenza nella stazione di rifornimento EV del futuro.

In questo calcolo, il sistema di energy storage dovrebbe avere una capacità tra 500kWh e 2,5MWh e sostenere una potenza di picco fino a 2MW.

Dopo aver definito i componenti critici della stazione di carica, fonti, carichi e riserva energetica, è necessario eseguire un’analisi sui quattro sistemi di conversione di potenza che costituiscono i percorsi energetici nella stazione.

I quattro sistemi sono situati sul bus DC principale, da 1000Vdc a 1500Vdc nominali. Più alta è la potenza richiesta, più elevata dovrà essere la tensione DC del bus. Attualmente 1500Vdc rappresentano lo standard industriale, valido per i prossimi 20 anni. Sarebbe anche possibile salire a tensioni più elevate, ma insorgerebbero complicazioni dovute a norme di sicurezza, caratteristiche dei componenti di potenza e aspetti progettuali, rendendo questa scelta inefficiente con le tecnologie disponibili al momento. Ciò non esclude che, entro 10 anni, nuove tecnologie, come quelle relative a switch di potenza e sistemi di protezione, rendano possibile arrivare a 2000Vdc o anche a tensioni più elevate.

Considerando l’inverter PV, notiamo che ha una doppia funzione; quella di un convertitore DC-DC, per il percorso di potenza che va dai pannelli PV al bus DC,  e di inverter DC-AC per il percorso che va dai pannelli PV al bus AC e quindi in rete. In questo caso lo stadio di conversione DC-DC è il più importante, poiché quello AC-DC può anche essere integrato nell’inverter bidirezionale principale, per la correzione del fattore di potenza (PFC, “Power Factor Correction”) che va dal bus DC alla rete AC. Per quanto riguarda lo stato dell’arte dei progetti di elettronica di potenza, il livello più elevato di efficienza viene raggiunto con i convertitori basati su MOSFET di potenza in tecnologia a carburo di silicio (SiC, “Silicon Carbide”). Il confronto con i transistor bipolari in silicio a gate isolato (IGBT, “Insulated Gate Bipolar Transistor”) mostra un aumento del livello di efficienza dell’ordine dal 5% (carico massimo) al 20% (carico parziale). Nel nostro esempio, con un inverter PV dalla potenza nominale di 500kW, il 5% in più di efficienza significa 25 kW di perdite in meno o un aumento della potenza disponibile in uscita; il consumo equivalente di cinque abitazioni o di una grossa pompa di calore per la generazione di acqua calda o il raffreddamento dell’edificio della stazione di carica in estate.

Un calcolo molto simile si può fare sia per le colonne di carica in DC sia per i caricatori dell’ESS. In entrambi i casi, sono possibili due approcci di progetto: mediante grandi convertitori monolitici, dalla potenza nominale superiore a 100kW o con una moltitudine di convertitori più piccoli, con potenze da 25kW a 50kW, utilizzati in parallelo. Entrambe le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi. Ad oggi, le connessioni multiple di piccoli convertitori rappresentano la scelta di mercato principale, grazie ai costi inferiori dovuti all’economia di scala e alla semplicità di progetto. Si deve adottare, ovviamente, un sistema di gestione energetica di tipo intelligente.

Anche per questi convertitori DC-DC, il passaggio dagli IGBT al silicio ai MOSFET SiC sta portando grandissimi vantaggi in termini di efficienza, uniti al risparmio di spazio e di peso, a un costo leggermente più elevato, attualmente superiore del 25%. Una differenza che si prevede possa scendere al 5% nei prossimi cinque anni. Il livello di efficienza può, da solo, far superare questa piccola differenza di costi grazie il risparmio che si può conseguire (usando lo stesso 5% a carico massimo):

In conclusione, nell’inverter PFC il 5% di 1 MW vale 50 kW, portando il risparmio complessivo di potenza a 250 kW, solo grazie all’efficienza più elevata dei componenti SiC rispetto agli IGBT. Ciò equivale alla disponibilità di un’ulteriore colonna di carica o alla possibilità di equilibrare in modo migliore, nel tempo, i consumi energetici rispetto alla richiesta di potenza effettiva da parte dell’utenza.

Per raggiungere questi risultati, come si è detto, è necessario usare i MOSFET SiC che comunque, da soli, non risolvono tutti i problemi. La modalità di pilotaggio dei MOSFET SiC rappresenta il fattore chiave per raggiungere la frequenza di commutazione necessaria a ottenere il miglior compromesso tra costi di progetto del sistema (determinato da MOSFET, trasformatori e induttori) ed efficienza. I progettisti scelgono la frequenza di commutazione nell’intervallo da 50 kHz a 250 kHz. I requisiti richiesti per i gate driver stanno diventando più esigenti, principalmente in termini di un ritardo di propagazione più breve e di una protezione dai corto circuiti migliorata.

L’ADuM4136 di Analog Devices è un gate driver isolato, dotato della tecnologia allo stato dell’arte iCoupler. Questo sistema di isolamento consente di ottenere un’immunità al transiente di modo comune (CMTI) di 150 kV/µs, per pilotare i MOSFET SiC nell’intervallo di frequenza di commutazione di centinaia di kHz. Questa caratteristica, unita a un sistema di gestione veloce del guasto come la protezione da desaturazione, dà al progettista la possibilità di pilotare nel modo corretto MOSFET SiC, singoli o in parallelo, con tensioni fino a 1200 V.

Il gate driver isolato richiede alimentazione e nell’Application Note AN-2016 di ADI si illustra come la combinazione del gate driver ADuM4136 con il controllore push-pull LT3999 rappresenti una base ad alta efficienza e priva di rumore, per gestire in modo appropriato i MOSFET SiC. L’LT3999 viene utilizzato per il controllo dell’alimentazione bipolare isolata per l’ADuM4136. L’architettura a emissioni EMI ultra-ridotte dell’alimentatore isolato LT3999, unita alla possibilità di gestire frequenze di commutazione fino a 1 MHz, consentono di realizzare una soluzione compatta e a basso costo.

Il ritardo complessivo di propagazione, inclusi i tempi morti aggiunti al ritardo di propagazione stesso, è di 226 ns per il “turn-on” e 90 ns per il “turn-off”. I tempi di ritardo del driver sono di 66 ns per il turn-on e di 68 ns per il turn-off, mentre i tempi morti sono di 160 ns per il turn-on e 22 ns per il turn-off.

Con queste caratteristiche, il traguardo per disporre di una densità di potenza estremamente elevata nei convertitori viene raggiunto senza compromettere l’efficienza.

Figura 3. Unità gate driver ADuM4136 e LT3999.

Anche se, lungo i percorsi di conversione, i convertitori di potenza risultano fondamentali, nei sistemi di energy storage il componente chiave, per garantire il miglior controllo dei costi complessivi, è rappresentato dal Battery Monitoring System (BMS). In un’analisi di costo dettagliata, riferendoci a sistemi di energy storage dell’ordine del megawatt, più della metà della spesa è dovuta al rack di batterie: attualmente un valore di circa 200 $ per kWh, del quale si prevede una discesa fino a 100 $ per kWh nel 2025. Disporre di una soluzione BMS, affidabile e precisa, consente di estendere del 30% la vita delle batterie, ottenendo un risparmio enorme e un’operabilità semplificata dell’intera stazione di carica. Minore manutenzione significa maggiore durata e nessun problema per gli utenti, oltre a un aumento del livello di sicurezza grazie alla riduzione dei rischi correlati agli interventi di riparazione.

Per raggiungere questi risultati, il sistema di energy management che controlla i flussi di energia, nell’ambito della stazione di carica, deve disporre di un controllo molto accurato del SOC e dello stato di salute (SOH, “State Of Health”) delle batterie del sistema di energy storage. Il calcolo preciso e affidabile di SOC e SOH permette di estendere la vita utile delle batterie da 10 a 20 anni, nel caso migliore, e in generale si può raggiungere un aumento della durata prevista del 30%, senza aumentare i costi per l’elettronica correlata al BMS. Ciò conduce a una riduzione dei costi operativi e di gestione di almeno il 30%, grazie alla più lunga durata delle batterie. Questo, unito alla maggiore accuratezza delle informazioni SOC, consente di utilizzare tutta l’energia immagazzinata nelle batterie e di caricarle nel miglior modo possibile, evitando l’eccesso di carica o la scarica profonda; condizioni che possono esaurirle in un tempo molto breve e creare situazioni di rischio, come cortocircuiti e incendi. Per la manutenzione predittiva, e per esser sicuri che i flussi di energia e potenza vengano gestiti nel modo corretto, conoscere SOC e SOH delle batterie significa essere in grado di fare previsioni e modificare gli algoritmi coinvolti nella stabilizzazione della rete, sia nel processo di carica degli EV sia nei collegamenti “Vehicle-to-Grid” (V2G), dove i veicoli svolgono anche la funzione di storage unit.

La soluzione per ottenere un monitoraggio accurato consiste nell’impiego di un IC monitor di batteria multi-cella, fino a 18 celle, con un errore di misura complessivo inferiore a 2,2mV. Tutte le 18 celle possono essere misurate in 290µs e, per una consistente riduzione del livello di rumore, si possono scegliere velocità di acquisizione ridotte. È possibile il collegamento in serie di più dispositivi di monitoraggio dello stack, consentendo il controllo di cella simultaneo su lunghe stringhe di batterie ad alta tensione. Ciascun monitor di stack dispone di Serial Peripheral Interface isolata (isoSPI) per comunicazioni ad alta velocità, immuni ai disturbi RF e a lunga distanza. Le catene di dispositivi multipli sono realizzate in daisy chain, con un collegamento al processore host per tutti i dispositivi. La daisy chain può essere utilizzata in modo bidirezionale, garantendo l’integrità della comunicazione anche in caso di guasto lungo il collegamento stesso. L’IC può essere alimentato direttamente dallo stack di batterie o mediante alimentazione isolata. L’IC comprende la possibilità di bilanciamento passivo per ogni cella, con controllo del duty cycle PWM per ciascuna di esse. Altre caratteristiche includono un regolatore on-board da 5V, nove linee I/O general-purpose e sleep mode, in cui la corrente assorbita viene ridotta a 6µA.

A causa dei requisiti di accuratezza a breve e lungo termine dell’applicazione BMS per la conversione, l’IC utilizza un riferimento di tipo “buried-Zener” invece di un “band gap”. Questo fornisce una tensione di riferimento primario stabile, a bassa deriva (20ppm/√kh), basso coefficiente di temperatura (3ppm/°C) e bassa isteresi (20ppm); il tutto unito a un’eccellente stabilità di lungo termine. Accuratezza e stabilità sono fattori fondamentali, perché sono alla base di tutte le misurazioni di cella che ne derivano; in questi termini, gli errori hanno un impatto cumulativo su credibilità dei dati acquisiti, consistenza dell’algoritmo e prestazioni del sistema.

Nonostante un riferimento ad elevata precisione sia indispensabile per garantire prestazioni superiori, da solo non basta. L’architettura del convertitore AC-DC e il suo funzionamento devono soddisfare i requisiti richiesti in un ambiente elettricamente rumoroso, risultante dai transienti della modulazione (PWM) del convertitore ad alta corrente/tensione del sistema. La valutazione accurata degli indici SOC e SOH delle batterie richiede anche misure correlate di tensione, corrente e temperatura.

Per ridurre il rumore di sistema, prima che possa alterare le prestazioni del BMS, il convertitore del monitor di stack utilizza una topologia sigma-delta, coadiuvata da sei opzioni di filtraggio, selezionabili dall’utente, per affrontare gli ambienti rumorosi. L’approccio sigma-delta, per la sua caratteristica di utilizzare molti campioni per conversione, con una funzione di filtraggio e calcolo del valor medio, riduce gli effetti dell’EMI e di altro rumore da transienti.

Nel portafoglio di prodotti ADI, le famiglie LTC681x e LTC680x rappresentano lo stato dell’arte per il monitoraggio di stack di batterie. La versione a 18 canali è denominata LTC6813.

In conclusione, nell’affrontare le sfide poste dall’infrastruttura di carica veloce DC del futuro, gli aspetti critici risiederanno nei sistemi di conversione di potenza e di energy storage. Sono stati illustrati due esempi: la combinazione del gate driver isolato ADuM4136 con il controllore d’alimentazione LT3999 per gli stadi di conversione di potenza progettati con MOSFET SiC e il dispositivo di monitoraggio LTC6813 per le batterie dei sistemi di energy storage. In questi sistemi si devono tenere sotto controllo molti aspetti, dalla misura di corrente ai dispositivi di protezione dal guasto, dal rilevamento gas alla sicurezza funzionale. Sono tutti estremamente importanti e portano vantaggi enormi. Per questo ADI lavora attivamente nell’ambito di tutti questi sottosistemi, per garantirsi di poter rilevare, misurare, connettere, interpretare, garantire e attivare tutti i fenomeni fisici in grado di produrre dati robusti e affidabili; dati che saranno utilizzati da algoritmi di alto livello per far sì che la maggiore quantità possibile di energia venga convertita dalle fonti rinnovabili e trasferita alle utenze, che in questo caso sono veicoli elettrici.

di Stefano Gallinaro, Strategic Marketing Manager, Analog Devices

 

 

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