Comprare un’elettrica oggi conviene?

L’auto elettrica è un argomento la cui attualità si impone col passare degli anni, tanto più da quando la convergenza tra tutela ambientale e sviluppo delle tecnologie (in special modo di quelle delle batterie, che con il litio sono divenute enormemente più compatte e leggere di quelle al piombo delle prime auto elettriche come ad esempio la Panda Elettra) sta palesandone l’utilità.
Quando diciamo “auto elettrica” dobbiamo precisare che esistono tre possibili soluzioni di elettrificazione: Ibrida, Plugin, o Full Electric. Tre livelli di tecnologia elettrica che corrispondono grossomodo a tre stadi successivi di avanzamento della tecnologia elettrica nel settore dell’automobile. Ciascuno rappresenta “quanta parte” di elettrico sviluppa la trazione.
In questo articolo faremo una panoramica sulle tecnologie per l’automobile elettrica, che vi permetterà di trarre da voi le conclusioni se pensate di abbandonare la vostra tradizionale auto con motore endotermico.

 

Come il KERS della F1

 

Partiamo dalla ibrida, che sfrutta, per la ricarica della batteria (che utilizzerà in periodi selezionati) l’energia cinetica in rilascio e in frenata, ma che richiede il motore tradizionale, a benzina, gas o diesel.
Il concetto di ibrido passa dal Kinetic Energy Recovery System, un termine affascinante per dire che si ricicla l’energia delle decelerazioni per riaccelerare. Frenata rigenerativa ne è un sinonimo, ma risulta un termine più umano, la cui comprensione richiede la conoscenza di un po’ di fisica: sappiamo che ogni corpo in movimento, per un principio elementare chiamato inerzia, tende a mantenere il proprio stato se non viene disturbato da elementi esterni. Questo significa che l’auto, se non ci fosse l’attrito volvente sulle ruote e quello aerodinamico dell’aria sulla carrozzeria, su strada piana tenderebbe a mantenere la propria velocità all’infinito. Quando freniamo dobbiamo sottrarre l’energia cinetica che serve a portare l’auto alla velocità voluta, ovvero a garantire un’accelerazione negativa (decelerazione).
La potenza (P) della frenata è ottenuta dal rapporto tra l’energia cinetica da sottrarre (E) ed il tempo (t) in cui il processo avviene, quindi più rapidamente ci vogliamo fermare, maggiore sarà la potenza che il nostro sistema frenante dovrà essere in grado di applicare (lo stesso vale, al contrario, per l’accelerazione, dove più accelerazione desideriamo, più potenza dobbiamo applicare).
Ecco quindi che costruire un sistema di rigenerazione capace di grande efficacia è tutt’altro che semplice, perché dovrebbe trasferire una potenza enorme per sfruttare tutta l’energia che un buon impianto frenante trasforma in calore quando i freni agiscono; nelle brusche frenate, solo una piccola parte di tale energia sarà quindi “riciclabile” (perché serviranno i freni, la cui azione è modulabile dal conducente) mentre più energia sarà recuperata in rallentamento e in una frenata più dolce o da un tratto in leggera discesa.

 

C’è ibrido e ibrido

 

Più potente è il nostro sistema di rigenerazione, maggiori saranno i casi in cui potrà recuperare l’energia dalle frenate, anche quelle più brusche; tuttavia esistono limiti sia nei circuiti elettronici, sia chimici (nelle batterie). Da un punto di vista dell’elettronica di potenza del veicolo, significa mettere in serie la tensione generata dal motore che sta agendo da generatore e quella della batteria che, per essere caricata in pochi istanti, ha bisogno di un potenziale tanto più elevato quanto più rapidamente si vuole metterci dentro energia. Per intenderci, una batteria da 400V, che normalmente alimenta il motore di un’elettrica, costringe l’elettronica a convertire la tensione a oltre 1.000 Vcc per poter generare dei picchi di alta corrente della durata dei pochi secondi a disposizione. Il limite è la capacità elettrochimica della batteria stessa, che se si esagera con la corrente, sviluppa calore e gas idrogeno, entrambi indesiderati, rovinandosi irrimediabilmente. Pertanto il sistema di recupero è un dispositivo elettronicamente complesso e costoso, se deve essere efficiente.
Grazie a cavilli studiati ad arte, alcune case costruttrici sono riuscite ad ottenere omologazioni su sistemi che ben poco hanno di quanto appena descritto. Alcuni modelli di auto sono pertanto pubblicizzati come “ibridi” solo perché sono stati modificati aggiungendo un supercondensatore che raccoglie quei pochi Joule di energia ottenuti dall’alternatore quando funziona da freno elettrodinamico (motore in decelerazione) per poi immetterli con un circuito classico di limitazione della corrente di ricarica in una altrettanto classica batteria al piombo da 12V. Insomma, ibride che non sono vere ibride, anche perché il moto all’alternatore arriva da una cinghia, che non può trasferire coppie e potenze notevoli.
Aggiungendo un sistema di spegnimento automatico del motore, che dopo alcuni secondi di regime al minimo stacca tutto ed affermando che l’energia per la riaccensione è fornita dal recupero, sono evidentemente riusciti a convincere i tecnici dell’autorità che ha concesso loro l’omologazione.
La Toyota, per esempio, dopo aver presentato la prima ibrida plug-in, ha fatto una plateale marcia indietro commerciale, puntando addirittura, nei suoi messaggi pubblicitari, su frasi del tipo: “viaggia al 50% in elettrico senza spine e prese”. Ora, se cerchiamo il pelo nell’uovo forse possiamo trovare un riscontro in quel dichiarato “50% in elettrico” se ci mettiamo il paraocchi e guardiamo per quanti secondi ogni minuto il motore elettrico risulta alimentato. Ma se andiamo a vedere chi davvero spinge l’auto, è evidente che anche in una ibrida risulta essere il solo carburante presente: la solita benzina.
Un buon sistema di recupero rende un motore elettrico a benzina competitivo con un buon diesel, ma nulla più. Possiamo pertanto essere felici di avere un piccolo motore a benzina che, grazie all’ibrido, è piccolo, leggero, meno complicato di un diesel. Un motore a benzina che, per consumi, è come un diesel, ma nulla più, perché l’ibrido non fa miracoli.

 

L’ibrida con la spina

Per avere una vera auto elettrica dobbiamo fare in modo che la batteria sia ricaricabile da una spina di corrente e questo rientra nel concetto di plug-in, che significa almeno tre cose fondamentali:
• batteria di capacità tale da garantire almeno qualche decina di chilometri;
• motore elettrico sufficiente a consentire una breve mobilità solo elettrica, almeno in città;
• capacità di ricaricare la batteria dall’esterno.

Quindi una ibrida dovrà essere dotata di un caricabatterie e di una batteria che si rispetti. Parliamo quindi di quella che possiamo definire “seconda generazione” di veicoli elettrici (chiamata PHEV, Plugin Hybrid Electric Vehicle), che rappresenta il primo, vero passo verso l’elettrificazione del mondo dell’automobile, ma gli elementi sopra descritti nascondono insidie tutt’altro che trascurabili. Per esempio, dove mettere una batteria da almeno 5kWh? Parliamo di elementi che, fra l’altro, devono coesistere con il motore termico, pertanto la progettazione ed ottimizzazione degli spazi è una sfida ardua.
Alcuni esempi di PHEV sono Audi A3 e-tron, Audi Q7 e-tron, BMW 740e Plug-in Hybrid, KIA Optima Plug-In Hybrid, Mercedes GLC 350e Hybrid, Porsche Panamera S E-Hybrid, Volvo V60 Plug-in Hybrid.

Solo elettrica

Non avere il motore termico significa molto spazio per la batteria, e questo è un bene, ma al momento non basta ancora. Per il momento i veicoli solo elettrici (Full Electric) TESLA a parte, sono quasi esclusivamente piccole citycar. Da quest’anno l’offerta sta iniziando ad ampliarsi e compaiono le prime utilitarie ‘medie’. La scelta non è ancora così ampia e contempla Opel Ampera, BMW i3 94Ah, Citroën C-Zero, Ford Focus Electric, Hyundai IONIQ Electric, KIA Soul EV, Mitsubishi i-MiEV, Nissan Leaf e Volkswagen e-up, per dirne alcune.

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Autonomia

 

L’elettrica pura soffre al momento ancora un po’ di scarsa autonomia. Se togliamo il caso Tesla, in cui l’intera auto è progettata ‘intorno’ alla batteria e, anche per questo, ha però ha prezzi non proprio abbordabili, vediamo che le autonomie di questi modelli raggiungono a stento i 200Km reali, anche quando le case costruttrici dichiarano 350Km e oltre. Bisogna infatti tenere conto che le misure dell’autonomia non sono mai veritiere in quanto sono eseguite in condizioni impossibili da riscontrare nella realtà. Pneumatici speciali a basso attrito, strada perfettamente in piano, con un filo di ‘gas’, senza dichiarare a che velocità è rilevata, l’autonomia è facilmente falsabile. Una esperienza diretta con la Volkswagen Golf GTE, per esempio, è che i 50km di autonomia dichiarata in solo modo elettrico si traduce, usando il piede leggero, senza superare mai il 20% di potenza in accelerazione e cercando di far fruttare a dovere le frenate rigenerative, in circa 38-40 Km reali percorribili, lasciando al 20% di default il valore di ‘carica di riserva’ della batteria (non scende mai al di sotto per allungare la vita alla batteria). Esperienze simili vengono riportate da possesori di Renault Zoe.

 

Ricarica pubblica o privata?

Le opzioni sono solo due: avere un garage o posto macchina privati dove è possibile montare una colonnina o Wallbox, oppure attingere a una colonnina pubblica. La rete di colonnine di ricarica in tutta Europa cresce rapidamente, e crescono le collaborazioni tra i diversi provider presenti sul mercato. La concorrenza aumenterà il numero delle stazioni che promette di cambiare la mobilità elettrica. Grazie agli impegni dell’Unione europea e i fondi messi a disposizione, in cantiere ci sono numerosi progetti. L’ultima nata in ordine cronologico è la rete di ricarica rapida che vedrà coinvolti sette paesi europei: 180 stazioni di ricarica lungo l’arteria autostradale che collegherà la Norvegia all’Italia, passando da Svezia, Danimarca, Germania, Francia, e Regno Unito. La rete, riconosciuta e finanziata con 10 milioni di euro dalla Commissione europea, sarà realizzata grazie alla collaborazione tra E.On e Clever, provider danese di servizi per la mobilità elettrica. Anche le case automobilistiche si stanno muovendo, proprio per fare concorrenza alla rete Supercharger di Tesla, oggi forse la più efficiente ed efficace. Le cinque sorelle tedesche (Bmw, Gruppo Daimler, Volkswagen, Audi e Porsche), insieme con Ford, hanno presentato da poco Ionity, una collaborazione che darà vita ad una rete di ricarica veloce per auto elettriche distribuita su tutto il territorio, entro tre anni. Per ora sono previste le prime 20 stazioni entro la fine di quest’anno, ma l’obiettivo dichiarato dalla nuova società è quello di arrivare a 400 stazioni di ricarica, ubicate lungo autostrade e le grandi arterie di Germania, Norvegia e Austria. Saranno aperte al pubblico e si troveranno a una distanza di circa 120 km l’una dall’altra. I vari progetti nascono in concomitanza con l’iniziativa lanciata poche settimane fa nel nostro Paese: una rete di ricarica extraurbana a ridosso dei caselli autostradali che permette di raggiungere Roma in modalità elettrica.

Ricarica “in casa”: facciamo due conti

Che sia Plugin o solo Elettrica, i conti si possono fare allo stesso modo, ovviamente tenendo presente che per la sola elettrica non si avrà il motore termico al quale affidarsi ed occorrerà attingere in toto alla rete elettrica.
Prendiamo il caso di una batteria da 7kWh, che permette una percorrenza ad esempio di 35km in modalità elettrica; ciò significa un consumo di 200Wh per ogni km percorso, vale a dire 5km per kWh consumato. Bene. Ora basta vedere quanto costa 1 kWh e confrontarlo con il costo di 1 litro di benzina; e qui iniziano le complicazioni, perché la bolletta elettrica non è facile da capire. Prima di tutto, diciamo che i casi sono molteplici, perché il costo è dato dalla tariffa dell’energia, più tasse fisse e variabili, e che questi elementi dipendono dal fornitore, dalla potenza del contatore, dal regime scelto, eccetera. Diciamo che, per semplicità, facciamo i conti per un ‘caso tipico’. Una volta visto il metodo, ognuno potrà riadattare i conti per la propria esigenza.
Supponiamo intanto di essere residenti (sulle seconde case i costi della bolletta elettrica sono notoriamente più alti) e ipotizziamo di consumare per le necessità domestiche una media di 3.000 kWh l’anno; dividiamo per 365 e facciamo quindi una media di 8,2 kWh al giorno. Teniamo conto che tale consumo sarà tipicamente assorbito nelle 12 ore attive della giornata, con picchi di sera per via della necessità di accendere le luci. Ipotizziamo quindi che mediamente, in tali ore, ci sia un consumo costante di 8,2:12= 684W per l’uso domestico. Ipotizziamo che i picchi di consumo possano arrivare a una normalità di tre volte il consumo medio (potrebbe essere considerato normale un assorbimento di 2kW di potenza). Da qui vediamo che difficilmente potremo conciliare una ricarica del veicolo se abbiamo un contatore da 3kW nominali, perché caricare 7kWh a, diciamo, 10A significa chiedere altri 2,2kW in più al contatore. Ci occorrerà senz’altro passare almeno a 4,5kW o, meglio, a 6,6kW se vogliamo caricare in un paio d’ore (7.000Wh di capacità batteria, diviso 220V, diviso 16A fanno 2h circa) impegnando (220V x 16A) 3,5kW. Questo però ci porterà a dover ritoccare i costi dell’energia, perché dipendono proprio dalla potenza del contatore; la tabella propone dei costi abbastanza veritieri tutto compreso.

Consideriamo che tutti i giorni, eseguiremo una ricarica parziale della nostra batteria e che immetteremo nella batteria dell’auto mediamente 5kWh ogni giorno, dei 7kWh disponibili quando la batteria è a zero. Significa che consumeremo, solo di ricarica, 365 x 5 = 1825kWh, portando il nostro consumo medio annuo dai 3.000 kWh ipotizzati in precedenza, a circa 4.900kWh/anno.
Da qui, applichiamo la tariffa di 0,21€ per kWh e vediamo finalmente che, per fare i nostri 5km ci vogliono 0,21€, vale a dire 23 km con 1 Euro di energia elettrica. Pertanto viaggiare elettrico conviene. Certo, se ci aggiungiamo l’impianto di ricarica, il maggior costo di un’auto elettrica e tutti gli altri elementi, tutta questa convenienza potrebbe sfumare.

 

Fotovoltaico e auto elettrica

Ovviamente cambia tutto se l’energia elettrica la autoproduciamo. Chiunque abbia un impianto fotovoltaico, anche piccolo, potrebbe beneficiare della scelta di un veicolo elettrico o plug-in. Chi, poi, ha installato un impianto prima del 2009, quando la Legge ha cambiato le regole decretando che i conguagli per lo scambio sul posto andavano eseguiti in Euro e non più in kWh, ha qualche ragione in più.
Fintanto che il conguaglio era in kWh, tanto si produceva di giorno, altrettanto poteva essere assorbito la sera/notte, purché il bilancio fosse mantenuto. Con il conguaglio in Euro, siccome è stabilito che il gestore venda un kWh a circa quattro volte il prezzo al quale lo acquista, la sovraproduzione è poco sensata.
La soluzione sarebbe mettere un sistema di accumulo a batterie per estendere la disponibilità di energia autoprodotta anche alle ore serali e notturne, oppure comprare l’auto elettrica.

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